Direzione regionale Musei Campania
Dantedì
25 marzo 2020
Nell’ambito delle tante attività organizzate per frequentare virtualmente i luoghi della cultura nei giorni dell’emergenza COVID-19 e mantenere insieme ma “a casa” la nostra comunità museale, la Direzione regionale Musei Campania ha partecipato al Dantedì, la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, alla sua prima edizione.
Istituita dal Governo su proposta del Ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, la Giornata vuole ricordare il Sommo Poeta, simbolo della cultura e della lingua italiana, per unire ancora di più il Paese in questo momento difficile, condividendo versi dal fascino senza tempo. La scelta del 25 marzo è legata simbolicamente all’inizio del viaggio ultraterreno di Dante nella Divina Commedia.
Per l’occasione i musei della Campania hanno ricordato la figura del Sommo Poeta con opere d’arte conservate nei musei che richiamano i luoghi, i personaggi e le vicende narrate nella Divina Commedia, anche per raccontare quanto Dante si sia ispirato a protagonisti, miti e simboli dell’antichità e, nel corso dei secoli, abbia segnato profondamente tutte le espressioni culturali e artistiche italiane.
NAPOLI
Parco e Tomba di Virgilio
Il Parco e Tomba di Virgilio ricorda Dante attraverso la figura del poeta che lo accompagnò nel suo viaggio letterario.
Dante (Commedia, Purgatorio III, 25-27) così descrive questo suggestivo luogo:
«Vespero è già colà dov'è sepolto,
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto»
Una lunga tradizione lega Virgilio alla città di Napoli: il sepolcro romano alle pendici della collina di Posillipo, già in epoca antica, circa un secolo dopo la morte del poeta, divenne un luogo sacro per i suoi ammiratori e fu a lungo tema letterario e meta del turismo colto, come per Stazio, Plinio il Giovane e Silio Italico. La tomba di Virgilio fu visitata nei secoli da letterati, cronisti e viaggiatori, italiani e stranieri, tra i quali Petrarca, Boccaccio e Cino da Pistoia.
Dante incontra Virgilio (Commedia, Inferno I, 67-75):
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furono lombardi,
mantoani per patria ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buon Augusto,
al tempo de li dei falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia
poi che il superbo Ilion fu combusto»
Museo Duca di Martina- Villa Floridiana
Il Museo Duca di Martina celebra Dante Alighieri con la “Tabacchiera degli Eresiarchi”, una porcellana realizzata nella Fabbrica dei Marchesi Ginori nel 1758, da Giovan Battista Fanciullacci (1745-1825), un giovane decoratore che negli anni tra il 1758 e il 1765 era impegnato “a dipingere tabacchiere a mezze figure”.
La tabacchiera, di forma ovale, è decorata sul coperchio con sei “Eresiarchi” - i protestanti- e nella sua parte interna con sei “Drudi”- i difensori delle fede cattolica.
Si legge sul primo cartiglio: “Qui son li eresiarchi/ Color seguaci d’ogni setta e molto/ Più che non credi son le tombe carche” (Commedia, Inferno IX, 127-129). In questo passo il Poeta cita gli “Eresiarchi” per definire gli Epicurei, considerati eretici. I personaggi rappresentati sulla tabacchiera sono gli eresiarchi del Concilio di Trento (1545-1563). “Drudo” è invece l’amante della fede cristiana: in un passo del Paradiso Dante definisce San Domenico difensore del credo cattolico: “Dentro vi sono gli amorosi drudi/ Della fede cristiana i santi atleti/ Benigni a suoi, ed a’ nemici crudi” (Commedia, Paradiso XII, 55-57).
Palazzo Reale di Napoli
Palazzo Reale di Napoli ricorda Dante Alighieri con un quadro esposto nei ‘passetti’ della Regina Maria Amalia di Sassonia e dedicato al Poeta e alla sua celebre opera.
La grande tela realizzata dall’artista atellano Tommaso De Vivo illustra un episodio allegorico della Divina Commedia: l’incontro di Dante e Virgilio con i più grandi poeti dell’antichità (Commedia, Inferno IV, 85-90).
Il dipinto, eseguito nel 1863, originariamente adornava un ambiente dell’“Appartamento d’uso” di Ferdinando II al secondo piano del Palazzo, insieme ad altre due tele dello stesso autore con due episodi del Purgatorio e Paradiso dantesco: l’artista aveva realizzato un ciclo pittorico che celebrava il Poeta in occasione del seicentesimo anniversario della nascita del “Ghibellin fuggiasco”.
Attualmente “Il Purgatorio (Canto XXIX)” si può ammirare nel Palazzo Reale di Napoli è in sottoconsegna alla Biblioteca Nazionale, mentre il dipinto de Il Paradiso con la rappresentazione della “Gloria e Gaudio dei Beati (Canto XXVII)” è conservato nella Reggia di Caserta.
Tommaso De Vivo (Orta di Atella, 20 febbraio 1790 – Napoli, 13 maggio 1884) si forma, a partire dal 1816, presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli e poi a Roma dove frequenta l’atelier di Vincenzo Camuccini. Partecipa con assiduità alle Biennali Borboniche, la sua popolarità si accresce con la tela “Caino”, presentato alla Biennale Borbonica del 1833.
Castel Sant’Elmo – Museo ‘900 a Napoli
L’omaggio di Castel Sant’Elmo - Novecento a Napoli a Dante, nella prima edizione digitale del #Dantedì è l’opera “Tragedia passionale” di Paolo Ricci, del 1930.
Qual è la “tragedia passionale” più famosa della poesia italiana? Sicuramente quella di Paolo e Francesca, descritta nel V Canto dell’Inferno:
“Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate…”
(Commedia, Inferno V, 82-84)
Certosa e Museo di San Martino
La Cappella dedicata a San Giovanni Battista nella Chiesa della Certosa di San Martino fu affrescata da Massimo Stanzione tra il 1642 e il 1647. In particolare nella volta possiamo ammirare la scena della discesa di Cristo al Limbo: una potentissima rappresentazione di scorcio con Cristo che tende la mano a Giovanni Battista.
Il dipinto di Stanzione ricorda l’episodio descritto da Dante nel XXXII Canto del Paradiso. Dante giunge tra i Beati della Candida Rosa tra i quali si trova Giovanni che soffrì il deserto e il martirio e rimase nel limbo due anni prima di essere condotto in Paradiso: “così di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo ’l diserto e ’l martiro sofferse, e poi l’inferno da due anni” (Commedia, Paradiso XXXII, 31-33).
Virgilio parla a Dante del limbo e gli spiega che chi si trova in questo luogo non soffre per aver commesso colpe ma vive nel desiderio eternamente inappagato di vedere Dio. Quindi Dante chiede:
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia’ io per volere esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
«uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidente;
Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati».
(Commedia, Inferno IV, 46-63)
Il Museo storico archeologico di Nola
ll Museo storico archeologico di Nola celebra Dante ricordando il mitico episodio di Teseo che uccide il Minotauro, che il poeta descrive nel XII Canto dell’Inferno e che si trova raffigurato su un’anfora attica a figure rosse della metà del V secolo a.C., conservata nel Museo:
Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
che sù nel mondo la morte ti porse?
Pàrtiti, bestia: ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
ma vassi per veder le vostre pene».
(Commedia, Inferno XII, 16-21)
CASERTA
Il Museo archeologico di Calatia
Il Museo archeologico di Calatia ricorda Dante Alighieri con una statua di Apollo Citaredo, conservata nelle sue collezioni, che ci rimanda al Canto I del Paradiso.
Accingendosi ad iniziare l’ultima cantica della sua opera, Dante invoca l’aiuto del dio Apollo, non ritenendo più sufficiente quello delle Muse. Il dio pagano dovrà ispirarlo col suo canto, come fece quando vinse il satiro Marsia, permettendo a Dante di affrontare l'alta materia del Paradiso e meritare così l'alloro poetico:
“O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l’amato alloro.
Infino a qui l’un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l’ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
vedra’ mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno”
(Commedia, Paradiso I, 13-27)
Apollo, dio di tutte le Arti, simboleggiate dalle nove Muse del suo corteggio, è raffigurato in questa statua, che ha una dimensione più piccola del naturale, all’impiedi mentre regge la cetra col braccio sinistro, tenendola accostata al fianco. La divinità indossa una tunica panneggiata lunga fino ai piedi, su cui si sovrappone una veste più corta stretta in vita da una sottile cintura; sulla spalla sinistra è appoggiato un mantello che scende fino al polpaccio. La gamba destra, piegata e leggermente avanzata, lascia intuire l’incedere calmo e solenne del dio.
La statua, rinvenuta priva della testa, faceva forse parte della decorazione scultorea di un piccolo edificio per spettacoli che si trovava lungo la via Appia. Il luogo era caratterizzato dalla presenza di un nucleo abitativo che fungeva da stazione di ristoro e di cambio per i cavalli, la Statio ad Novas, che oggi rientra nel territorio di Santa Maria a Vico.
Il Museo archeologico dell’antica Allifae
Il Museo archeologico dell’antica Allifae celebra Dante Alighieri con una suggestiva bocca di fontana in calcare, conservata nelle sue collezioni e proveniente dall'Anfiteatro di Alife.
L’importante serie di fontane, seconda solo a quelle di Pompei, testimonia la costruzione dell’acquedotto pubblico nell’antica Allifae, datato al I sec. d.C.
Il rilievo raffigurato sull’antica fontana presenta un cigno/oca con ali spiegate che regge con le zampe una conchiglia (pecten o cardium) - al centro della quale usciva il cannello - attributi tipici della dea Venere, che Dante descrive nel Canto VIII del Paradiso, in occasione dell’ascesa al cielo della dea Venere, dove risiedono gli spiriti amanti:
“Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l’antico errore
ma Dione onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean ch’el sedette in grembo a Dido
e da costei ond’io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella
che ‘l sol vagheggia or da coppa or da ciglio”
(Commedia, Paradiso VIII, 1-12)
Museo archeologico dell’Agro Atellano
Il Museo archeologico dell’Agro Atellano ricorda Dante Alighieri con una scena vascolare raffigurante Polissena legata ad un palo, pronta ad essere sacrificata da Neottolemo, che rimanda al Canto XXX dell’Inferno, in cui Dante richiama il ciclo troiano e la vicenda atroce del sacrificio di Polissena:
“E quando la fortuna volse in basso
l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,
sì che ’nsieme col regno il re fu casso,
Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva
del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane;
tanto il dolor le fé la mente torta”
(Commedia, Inferno XXX, 13-21)
La scena è raffigurata su una hydria a figure rosse del IV secolo a. C. , attribuita al pittore di Caivano, di fabbrica capuana, conservata nelle collezioni del museo e proveniente dalla Tomba 5 della necropoli di Caivano. L’hydria era un contenitore utilizzato per trasportare l’acqua, spesso inserita nei corredi funerari, come in questo caso.
Il Museo archeologico di Teanum Sidicinum
Il Museo archeologico nazionale di Teanum Sidicinum celebra Dante Alighieri con una preziosa statuetta in bronzo raffigurante un Ercole nudo che si distingue per la clava, che regge con la mano destra, e la pelle di leone poggiata sul braccio sinistro. La scultura risale al III secolo a.C. e proviene da un santuario posto su una altura dominante il fiume Savone. L’area sacra, che si sviluppò già a partire dalla fine del VI secolo a.C., per la sua importanza venne inglobata sullo scorcio del IV secolo a.C. all’interno della cinta muraria della nascente Teanum Sidicinum.
L’eroe greco Ercole, divinizzato nel mondo italico come protettore degli allevatori di bestiame, viene ricordato da Dante in rapporto alla figura di Caco, personaggio della mitologia romana. Costui, che viveva in un anfratto dell'Aventino e terrorizzava i vicini con i suoi furti, fu ucciso da Ercole per avergli rubato una mandria di buoi:
Lo mio maestro disse: «Questi è Caco,
che sotto ’l sasso di monte Aventino
di sangue fece spesse volte laco.
Non va co’ suoi fratei per un cammino,
per lo furto che frodolente fece
del grande armento ch’elli ebbe a vicino;
onde cessar le sue opere biece
sotto la mazza d’Ercule, che forse
gliene diè cento, e non sentì le diece»
(Commedia, Inferno XXV, 25-33)
Museo archeologico dell’antica Capua e Mitreo
Il Circuito archeologico dell’antica Capua ricorda Dante Alighieri con la rappresentazione dell'arrivo di Stallia nei Campi Elisi, accolta da Ade, che ci rimanda al Canto III dell'Inferno.
L’affresco, realizzato sulla parete di fondo di una tomba a camera ipogea di II sec. a.C., rinvenuta in una densa necropoli a nord dell’antica Capua, costituisce un raro esempio di pittura di età tardorepubblicana, in cui è possibile ammirare “una tra le più rare raffigurazioni della discesa di una comune mortale nell’aldilà”. Stallia, con capo velato, immersa in una natura che allude ad uno spazio sereno, liberato dalle sofferenze della vita terrena, è raffigurata su una passerella nell’atto di scendere da una barca ed accolta “con gentilezza” da un personaggio maschile, Ade appunto, con un saluto suggellato in una iscrizione impressa sotto le mani dei due personaggi: Deive/pater salve/Stallia salve.
La barca a vela, ritratta in modo dettagliato, galleggia su acque scure e dietro di essa è visibile una colonna ornata da una benda che simboleggia un monumento funerario. In alto al centro della scena è un edificio colonnato, con copertura a due falde, porta a doppio battente socchiusa, con una scala sul lato della facciata. La scena è inquadrata tra due esili e sinuosi alberi, su quello di destra è una colomba. Il personaggio maschile ha barba e capelli neri e regge con la mano sinistra un lungo scettro dorato. Porta calzari chiusi e indossa un manto bianco bordato di rosso porpora, sotto il quale indossa un chitone bianco e una tunica verde di cui è visibile la manica.
La scena principale è inquadrata tra le lunghe pareti, dove, al di sotto di una cornice aggettante, decorata con motivo a zig-zag di colore giallo e verde, viene rappresentata una serie di ghirlande sospese a tenie orizzontali, in rosso, giallo e verde, legate con fiocchi a triangolo da cui pendono bende dipinte con gli stessi colori. Resti di una ghirlanda vegetale, che era stata appesa alle pareti con ramoscelli di salice, al momento dello scavo erano ancora agganciati ai chiodi infissi nelle pareti. Da altri chiodi inseriti nella cornice pendevano alcuni frammenti riferibili al corredo funebre.
Ai lati della porta, poco sotto la cornice, sono due alberi con rami dipinti di verde diluito, simboleggiano il paesaggio dei Campi Elisi, allusione che si riverbera nelle altre raffigurazioni dello spazio funerario.
SALERNO
Il Museo archeologico della Valle del Sarno
Il Museo archeologico nazionale della Valle del Sarno rende omaggio al Sommo Poeta facendo dialogare alcuni versi della Divina Commedia con i reperti archeologici del Museo tra cui le pitture della famosa “Tomba del cavaliere”, risalente agli anni finali del IV sec. a.C.
Su una delle lastre laterali una donna con gli strumenti per la libagione, skyphos e oinochoe, va incontro a un cavaliere giovane, che ritorna vittorioso dalla battaglia. L’eco di questa scena continua nei racconti degli amori eterni fra dame e cavalieri richiamati più volte da Dante e immortalati nel Canto V dell’Inferno:
«Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi il grande Achille,
che con amore al fine combattèo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi, e nominommi, a dito
ch'amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito
(Commedia, Inferno V, 64-72)
Museo archeologico di Pontecagnano
Il Museo archeologico di Pontecagnano celebra il Sommo Poeta con la scena dipinta su una monumentale tomba a camera databile al III sec. a.C. , rinvenuta nel 2017 a Pontecagnano durante gli scavi condotti dalla SABAP di Salerno e Avellino.
Una donna di rango, accompagnata da un’ancella che le regge sul capo un ombrellino-parasole, giunge nell’Ade, dove viene accolta da un giovane, forse un parente defunto, che le tende la mano. I personaggi poggiano su una linea ondulata che evoca il cammino accidentato per raggiungere l’aldilà. La donna con ricco abbigliamento e acconciatura rivolge significativamente lo sguardo verso l’ingresso della tomba. A lei forse apparteneva il corredo deposto su uno dei letti funebri comprendente, oltre a numerosi vasi per unguenti e profumi, un set da toeletta contenuto in un cofanetto con preziose decorazioni in osso: uno specchio di bronzo, un pettine in osso e una piccola pisside contenente polvere da trucco.
La tomba, restaurata nel 2019, grazie a fondi acquisiti attraverso la piattaforma Artbonus del MiBACT, è visitabile al MAP.
“Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato”
(Commedia, Purgatorio XI, 100-102)